TRIBUNALE DI SALERNO 
                        Prima sezione civile 
 
     Nella causa civile iscritta al N.R.G. 5743/2019 il Giudice dott.
Mattia  Caputo,  letti  gli  atti  delle  parti   ed   esaminata   la
documentazione  di  causa,  a  scioglimento  della  riserva   assunta
all'udienza  del  16  luglio  2020,  tenuta  mediante  modalita'   di
trattazione «scritta» ai sensi dell'art. 83, comma 7, lettera h)  del
decreto-legge n. 18/2020 convertito con modificazioni  con  legge  n.
27/2020, ha pronunciato la seguente ordinanza: 
    Rilevato che i sig.ri M. B. G. e M.  M.  con  atto  di  citazione
notificato in data 31 maggio 2019  hanno  convenuto  in  giudizio  la
Presidenza del consiglio dei ministri al fine di sentire accertata  e
dichiarata la responsabilita'  civile  di  un  Magistrato  per  atti,
comportamenti e provvedimenti da questo posti in essere  per  la  sua
attivita' presso il Tribunale di Castrovillari; 
    Ritenuto  che  non  sia  necessario   disporre   la   trattazione
dell'udienza con modalita' da remoto, atteso che  il  contraddittorio
puo' ugualmente essere garantito mediante la  trattazione  «scritta»,
specialmente considerato che le  parti  avranno  la  possibilita'  di
articolare e sviluppare le proprie difese alle prossime  udienze  del
presente giudizio, nonche' tramite gli scritti difensivi; 
    Rilevato  che  il  Magistrato  della   cui   responsabilita'   si
controverte ha ricevuto regolare comunicazione dell'atto di citazione
dal Presidente del Tribunale di Salerno, come attestato  dalla  firma
per  ricevuta  (cfr.  fra  gli   «atti   del   processo»   depositati
telematicamente, quello depositato il 4 luglio 2019); 
    Rilevato che gli attori M. B. G. e M. M., per  tramite  del  loro
difensore, con le note scritte depositate telematicamente l'8  luglio
2020 hanno chiesto disporsi la trasmissione degli atti al Procuratore
generale presso la Corte di cassazione, ai sensi  dell'art.  9  della
legge n. 117  del  1988,  per  l'esercizio  obbligatorio  dell'azione
disciplinare a carico del Magistrato S. M. per i fatti che hanno dato
causa all'azione di risarcimento; 
    Considerato che l'art. 5, comma 5, della legge n. 117/1988  nella
sua formulazione anteriore alla riforma operata con legge n.  18/2015
stabiliva che «Se la domanda e' dichiarata ammissibile, il  tribunale
ordina la trasmissione di copia degli atti  ai  titolari  dell'azione
disciplinare...», cosi' subordinando la trasmissione,  da  parte  del
Tribunale, di copia degli atti ai titolari  dell'azione  disciplinare
(i.e.: Procuratore generale presso  la  Corte  di  cassazione  per  i
Magistrati ordinari) al positivo  superamento  del  c.d.  «filtro  di
ammissibilita'» dell'azione di responsabilita' civile dei Magistrati,
previsto proprio dall'art. 5 della suddetta legge n. 117/1988; 
    Rilevato che l'art.  3,  comma  2,  della  legge  n.  18/2015  ha
abrogato integralmente l'art. 5 ivi compreso il comma 5 di cui  sopra
- della legge n.  117/1988,  cosi'  eliminando  il  c.d.  «filtro  di
ammissibilita'» dell'azione di responsabilita' civile dei Magistrati,
la quale va dunque trattata ed istruita a  prescindere  da  qualsiasi
vaglio circa la sussistenza dei termini e dei presupposti di cui agli
articoli 2, 3 e 4 della legge n. 117/1988 (come previsto dall'art. 5,
comma 3, prima dell'abrogazione) o quando  non  fosse  manifestamente
infondata; 
    Considerato che l'art. 6, comma 1,  della  legge  n.  18/2015  ha
modificato il disposto dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988,
che  prevedeva  che  il  Procuratore  generale  presso  la  Corte  di
cassazione per i  Magistrati  ordinari  dovesse  esercitare  l'azione
disciplinare nei confronti del Magistrato per i fatti che hanno  dato
causa all'azione di risarcimento, entro due mesi dalla  comunicazione
di cui al comma 5  dell'art.  5  (cioe'  da  quando  veniva  delibata
l'ammissibilita'  della  domanda  e,  dunque,  disposta  a  cura  del
Tribunale  la  trasmissione  degli  atti  ai   titolari   dell'azione
disciplinare). La nuova formulazione  dell'art.  9,  comma  1,  della
legge n. 117/1988 sancisce che «Il  procuratore  generale  presso  la
Corte  di  cassazione  per  i  magistrati  ordinari  o  il   titolare
dell'azione disciplinare negli altri casi devono esercitare  l'azione
disciplinare nei confronti del magistrato per i fatti che hanno  dato
causa all'azione di  risarcimento,  salvo  che  non  sia  stata  gia'
proposta»; 
    Ritenuto, pertanto, che per effetto della legge n. 18/2015 che da
un lato, abrogando il disposto dell'art. 5 della legge  n.  117/1988,
ha disposto l'abolizione  del  c.d.  «filtro  di  ammissibilita'»,  e
dall'altro ha modificato l'art. 9, comma  1,  della  suddetta  Legge,
sopprimendo il richiamo al disposto dell'art.  5,  comma  5,  laddove
sanciva che il  Tribunale,  valutata  come  ammissibile  l'azione  di
responsabilita' civile, era obbligato  ad  ordinare  la  trasmissione
degli atti ai titolari dell'azione  disciplinare  (come  si  evinceva
dall'uso del verbo «ordina» al modo indicativo,  tempo  presente)  ed
assoggettava l'esercizio  obbligatorio  dell'azione  disciplinare  ad
opera del Procuratore generale  presso  la  Corte  di  cassazione  al
termine massimo di  due  mesi  dalla  comunicazione  degli  atti  del
procedimento   dopo   che   ,era   stata    valutata    positivamente
l'ammissibilita', dell'azione risarcitoria,  l'unica  interpretazione
possibile dell'art. 9, comma  1,  della  legge  n.  117/1988  -  come
risultante dall'abrogazione dell'art. 5, comma 5 e dalla eliminazione
proprio nel corpo dell'art. 9, comma 1, del richiamo al  termine  per
esercitare l'azione disciplinare  di  due  mesi  dalla  comunicazione
degli atti  -  sia  nel  senso  che  il  Tribunale,  investito  della
cognizione dell'azione di responsabilita' civile dei  Magistrati  sia
obbligato, per  il  solo  fatto  della  proposizione  dell'azione  di
responsabilita' civile, ed indipendentemente da  qualsivoglia  vaglio
preventivo di ammissibilita' (ormai soppresso) quanto ai requisiti  e
termini per l'azione risarcitoria e circa  la  fondatezza  in  chiave
prognostica  della  stessa,  nonche'  a  prescindere  dall'esito  del
giudizio medesimo, a trasmettere copia degli atti  del  procedimento,
al  fine   di   consentire   l'esercizio   obbligatorio   dell'azione
disciplinare da parte del titolare,  cioe'  il  Procuratore  generale
presso la Corte di cassazione; 
    Ritenuto che tale interpretazione si imponga innanzitutto per  il
tenore  letterale  della  norma,  che  fa  riferimento  all'esercizio
dell'azione disciplinare da parte del Procuratore generale presso  la
Corte di cassazione «per i fatti che hanno dato causa  all'azione  di
risarcimento» e non per la decisione che definisce il giudizio, cioe'
per i fatti come rappresentati nell'atto introduttivo del giudizio; 
    Ritenuto altresi' che tale interpretazione si imponga per ragioni
di tipo logico e sistematico, che impongono di valorizzare la portata
innovativa della legge n. 18/2015  che  ha  modificato  la  legge  n.
117/1988 sulla responsabilita' civile  dei  Magistrati,  mediante  un
intervento ortopedico su tale disciplina che ha soppresso il  «filtro
di ammissibilita' dell'azione  medesima  e,  di  conseguenza,  stante
anche l'espunzione dal corpo dell'art. 9, comma 1,  del  richiamo  al
termine di due mesi dalla decisione  del  Tribunale  che  considerava
ammissibile     la     domanda     attorea     e     disponeva     la
comunicazione/trasmissione degli atti al Procuratore generale  presso
la Corte di cassazione, ragion per cui, al fine di  non  svuotare  di
significato l'intervento novellatore del  legislatore  del  2015,  si
rende necessario interpretare la normativa di cui all'art.  9,  comma
1, della legge n.  117/1988,  nel  senso  che  e'  fatto  obbligo  al
Tribunale deputato a  conoscere  della  controversia  in  materia  di
responsabilita' civile dei Magistrati di trasmettere copia degli atti
del procedimento, al  fine  di  consentire  l'esercizio  obbligatorio
dell'azione disciplinare da parte del titolare, cioe' il  Procuratore
generale presso la Corte di  cassazione  per  i  Magistrati  ordinari
senza attendere la definizione del giudizio, per il solo fatto  della
proposizione dell'azione risarcitoria. Inoltre  tale  interpretazione
appare altresi' funzionale all'art. 9, comma 1,  laddove  stabilisce:
«Il  procuratore  generale  presso  la  Corte  di  cassazione  per  i
magistrati ordinari o  il  titolare  dell'azione  disciplinare  negli
altri casi devono esercitare l'azione disciplinare nei confronti  del
magistrato  per  i  fatti  che  hanno  dato   causa   all'azione   di
risarcimento, salvo che non sia stata gia' proposta. Resta  ferma  la
facolta' del Ministro di grazia e giustizia di cui al  secondo  comma
dell'art. 107 della Costituzione»; pertanto, al  fine  di  assicurare
l'obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione disciplinare per i fatti
che hanno dato causa all'azione di risarcimento e, dunque, di mettere
il Procuratore generale presso la Corte di cassazione  in  condizione
di esercitare l'azione  disciplinare,  si  rende  necessario  che  il
Giudice deputato a conoscere della  relativa  controversia  trasmetta
gli atti al Procuratore stesso, quale effetto  automatico,  derivante
«ipso facto et ipso  iure»  dalla  mera  proposizione  della  domanda
risarcitoria; 
    Ritenuto, peraltro, che la disposizione di cui all'art. 9,  comma
1, della legge n. 117/1988 come risultante dalla modifica operata con
l'art.  6,  comma  1,  della  legge  n.  1872015  non  possa   essere
interpretata nel senso che il «dies a quo» a partire dal quale  sorge
l'obbligo per il  Tribunale  adito  di  trasmettere,  gli,  atti  del
procedimento risarcitorio al Procuratore generale presso la Corte  di
cassazione  vada  individuato  nella  decisione  -  eventualmente  di
accoglimento - della domanda di risarcimento dei danni, ne' tantomeno
dal  passaggio  in  giudicato  della  stessa,  poiche'  una  siffatta
soluzione si pone in contrasto con il disposto dell'art. 6, comma  2,
della legge n. 117/1988, secondo cui «...  La  decisione  pronunciata
nel  giudizio  promosso  contro  lo  Stato  ...  non  fa  stato   nel
procedimento disciplinare»; 
    Ritenuto, altresi', che la disposizione di cui all'art. 9,  comma
1, della legge n. 117/1988 come risultante dalla modifica operata con
l'art.  6,  comma  1,  della  legge  n.  1872015  non  possa   essere
interpretata neanche nel senso che il «dies  a  quo»  a  partire  dal
quale sorge l'obbligo per il Tribunale adito di trasmettere gli  atti
del procedimento risarcitorio al Procuratore generale presso la Corte
di cassazione vada individuato nella instaurazione  del  giudizio  in
cui lo Stato propone - a seguito della sua condanna nel  procedimento
di risarcimento dei danni - l'azione di  rivalsa  nei  confronti  del
Magistrato, poiche' il  legislatore,  nell'intervenire  sull'art.  9,
comma 1, della legge n. 117/1988 ha scartato tale opzione,  che  pure
era stata formulata nel Disegno di legge di iniziativa governativa n.
1626 (art. 3, comma 3), con cui si  voleva  attribuire  al  Tribunale
investito  dell'azione  di  rivalsa  il  potere  di  segnalazione  al
Procuratore generale presso la  Suprema  Corte  e,  conseguentemente,
l'insorgere  dell'obbligo  di  quest'ultimo  di  esercitare  l'azione
disciplinare; 
    Ritenuto, pertanto,  che  l'art.  9,  comma  1,  della  legge  n.
117/1988 come risultante per effetto della modifica operata dall'art.
6, comma 1, della legge n. 18/2015 e  dall'abrogazione  dell'art.  5,
comma 5, di tale normativa mediante l'art. 3, comma 2, della legge n.
18/2015, debba  essere  interpretato  nel  senso  che  al  Tribunale,
investito della  cognizione  dell'azione  di  responsabilita'  civile
proposta dal cittadino che si assume danneggiato contro lo Stato  per
l'attivita' del Magistrato sia obbligato, per  il  solo  fatto  della
proposizione della domanda risarcitoria, a prescindere  da  qualsiasi
vaglio preventivo  circa  l'ammissibilita'  dell'azione  risarcitoria
(ormai soppresso), a disporre immediatamente  la  trasmissione  degli
atti del procedimento al Procuratore  generale  presso  la  Corte  di
cassazione per consentire  a  quest'ultimo  l'esercizio  obbligatorio
dell'azione disciplinare nei confronti del Magistrato; 
    Ritenuto, tuttavia, che l'art. 9, comma 1, della legge n. 117 del
13 aprile 1988 come modificato dalla legge  n.  18  del  27  febbraio
2015, anche a seguito dell'abrogazione dell'art. 5  della  suindicata
normativa e, dunque, del c.d. «filtro di ammissibilita'», cosi'  come
interpretato nel senso di imporre, sempre e  comunque,  al  Tribunale
investito della cognizione dell'azione di responsabilita' civile  dei
Magistrati, di trasmettere immediatamente  gli  atti  al  Procuratore
generale presso la Corte  di  cassazione  al  fine  di  consentire  a
quest'ultimo l'esercizio obbligatorio  dell'azione  disciplinare  nei
confronti del Magistrato per i fatti che hanno dato causa  all'azione
di risarcimento, ponga seri dubbi di legittimita' costituzionale; 
    Ritenuto, pertanto, che nel caso di specie vi  sia  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1, della legge n.  117
del 13 aprile 1988 come risultante dalle modifiche  ad  esso  operate
dall'art. 6, comma 1, della legge n. 18 del 27 febbraio 2015  laddove
ha soppresso il richiamo al  termine  di  due  mesi  per  l'esercizio
obbligatorio  dell'azione  disciplinare  da  parte  del   Procuratore
generale presso la Corte di cassazione decorrente dalla  trasmissione
a quest'ultimo degli atti da parte del  Tribunale,  trasmissione  che
aveva luogo solo nel caso di positivo superamento del preventivo c.d.
«filtro di ammissibilita'» circa  l'azione  risarcitoria,  nonche'  a
seguito dell'abrogazione ad opera dell'art. 3, comma 2,  della  legge
n. 27 febbraio 2015 dell'art. 5 della legge n. 117/1988 che prevedeva
il c.d. «filtro di  ammissibilita'»,  in  tal  modo  subordinando  al
vaglio positivo dello stesso anche la  trasmissione  degli  atti  del
procedimento al Procuratore generale, al fine dell'esercizio doveroso
dell'azione disciplinare; 
    Ritenuto,  innanzitutto  che  nel  caso  di  specie  sussista  il
carattere della «rilevanza» della questione  nel  presente  giudizio,
che  ai  sensi  dell'art.  23,  comma  3,  della  legge  n.   87/1953
costituisce insieme alla «non manifesta  infondatezza»  della  stessa
uno dei due requisiti di ammissibilita' della  questione  incidentale
di costituzionalita' di una legge o di un atto avente forza di legge.
La rilevanza, infatti, «esprime il rapporto che dovrebbe correre  fra
la soluzione della questione e la definizione del giudizio in  corso»
(Corte cost., sentenza n. 13/1965) o «il  nesso  di  pregiudizialita'
fra la risoluzione della questione di legittimita'  costituzionale  e
la decisione del caso concreto»  (Corte  cost.  sent.,  n.  77/1983),
ragion per cui essa ricorre nella vicenda in esame, dal  momento  che
nel procedimento in  oggetto  recante  N.R.G.  8441/2017,  avente  ad
oggetto  azione  di  responsabilita'  civile  contro  lo  Stato   per
attivita'  riferibile  ad  alcuni  Magistrati   ordinari   (sostituti
procuratori  e  giudici),  occorre  fare  applicazione  del  disposto
dell'art. 9, comma 1, della  legge  n.  117/1988  come  risultante  a
seguito delle modifiche apportate dalla legge  n.  18/2015.  Infatti,
nella vicenda in esame non e' stata ancora disposta  la  trasmissione
degli atti al Procuratore generale presso la Corte di  cassazione  ed
il sottoscritto, assegnatario del  procedimento  in  epigrafe  dal  9
maggio 2019 (a seguito dell'accoglimento da parte del Presidente  del
Tribunale delle istanze di astensione facoltativa dei due  precedenti
giudici istruttori assegnatari), e' tenuto a provvedervi. Cio'  anche
considerato che con istanza depositata  telematicamente  in  data  29
marzo 2018 il difensore dell'attore sig. M. P., reiterando la propria
richiesta  di  trasmettere  gli  atti  del   presente   giudizio   al
Procuratore generale presso la Corte di  cassazione  per  l'esercizio
dell'azione disciplinare ai sensi dell'art. 9, comma 1,  della  legge
n. 117/1988 ha precisato che il rifiuto, l'omissione o il ritardo  da
parte  del  Giudice  investito   della   controversia   di   siffatto
adempimento,  cioe'  nel  compimento  di  atti   del   suo   ufficio,
costituisce, tra l'altro, diniego di giustizia, ai sensi  e  per  gli
effetti dell'art.  3  della  legge  n.  117  del  1988  e  successive
modifiche, nonche' «colpa grave» ai sensi e per gli effetti dell'art.
2 della medesima legge, evocando profili di  responsabilita'  civile,
facendo salve tutte le azioni di  responsabilita'  civile,  penale  e
disciplinare contro  il  Giudice  investito  della  controversia.  Di
talche', dalla  mancata  trasmissione  degli  atti  del  procedimento
recante N.R.G 8441/2017 al Procuratore generale presso  la  Corte  di
cassazione  potrebbero  derivare,  secondo  la   prospettazione   del
difensore di parte attrice, conseguenze di tipo civile,  disciplinare
e  penale  per  il  Giudice  che,  investito  della  controversia  di
risarcimento dei danni per responsabilita' civile dei  Magistrati  ai
sensi della legge n. 117/1988, non provveda alla  trasmissione  degli
atti al  Procuratore  generale  presso  la  Suprema  Corte  ai  sensi
dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 come  modificato  dalla
legge n. 18/2015. Peraltro, come chiarito dalla Corte  costituzionale
in molteplici pronunce (Corte cost., n.  125/1977;  Corte  cost.,  n.
196/1982; Corte cost., n. 18/1989), debbono ritenersi  influenti  sul
giudizio anche le norme che, pur non essendo direttamente applicabili
nel giudizio «a quo», attengono allo status  del  giudice,  alla  sua
composizione nonche', in generale, alle  garanzie  e  ai  doveri  che
riguardano il suo operare. L'eventuale  incostituzionalita'  di  tali
norme,  infatti,  «e'  destinata  ad  influire  su  ciascun  processo
pendente  davanti  al  giudice  del  quale  regolano  lo  status,  la
composizione,  le  garanzie  e  i  doveri,  cioe'   la   «protezione»
dell'esercizio della funzione, nella quale i doveri  si  accompagnano
ai diritti.  Alla  luce  dell'interpretazione  del  disposto  di  cui
all'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 di cui sopra, dunque, si
dovrebbe  addivenire,  nel  caso  di  specie,  a  disporre  «sic   et
simpliciter» la trasmissione degli atti del procedimento in  epigrafe
al Procuratore generale presso la Corte di  cassazione,  al  fine  di
consentirgli di esercitare  l'azione  disciplinare  obbligatoria  nei
confronti dei Magistrati i cui atti,  comportamenti  e  provvedimenti
hanno dato causa all'azione di responsabilita'  civile  proposta  dal
sig. M. P.; Ritenuto, tuttavia, che proprio il fondato  dubbio  circa
la legittimita'  costituzionale  della  norma  di  cui  occorre  fare
applicazione, cioe' l'art. 9, comma 1, della legge n.  117/1988  come
derivante dalle modifiche operate dalla legge n. 18/2015 (abrogazione
del positivo superamento del c.d. «filtro  di  ammissibilita'»  quale
condizione  cui  era  subordinata  la  trasmissione  degli  atti   al
Procuratore generale presso la Corte di  cassazione  per  l'esercizio
disciplinare  ed  individuazione  del  «dies  ad  quem»   entro   cui
esercitare l'azione disciplinare entro due mesi  dalla  comunicazione
degli atti del  procedimento  da  parte  del  Tribunale)  abiliti  il
Giudice che e' chiamato a farne applicazione a sollevare la  relativa
questione; 
    Ritenuto  che  nella  fattispecie  in  esame  sussista  anche  il
requisito della «non manifesta infondatezza» della questione.  L'art.
9, comma 1, della legge n. 117/1988 secondo l'interpretazione che  di
esso e' possibile dare alla luce delle  modifiche  normative  operate
per effetto degli  articoli  3,  comma  2  (laddove  ha  disposto  la
soppressione del c.d. «filtro di ammissibilita'» e,  di  conseguenza,
la  trasmissione  obbligatoria  degli  atti   del   procedimento   al
Procuratore generale presso la Corte di  cassazione  per  l'esercizio
dell'azione disciplinare solo in caso di positivo  superamento  dello
scrutinio circa l'ammissibilita' dell'azione risarcitoria) e 6, comma
1 (laddove  ha  espunto  il  richiamo  al  limite  di  due  mesi  per
l'esercizio  dell'azione  disciplinare  da  parte   del   Procuratore
generale presso la Corte di cassazione, decorrente dal  provvedimento
di ammissibilita'  dell'azione  risarcitoria  e  dalla  comunicazione
degli atti del procedimento) della legge n. 18 del 27  febbraio  2015
appare porsi in frizione  con  gli  articoli  3  -  «sub  specie»  di
irragionevolezza e disparita' di trattamento -  101,  comma  2,  104,
comma 1 e 108 della Costituzione; 
    Ritenuto  che  l'art.  9,  comma  1,  della  legge  n.   117/1988
interpretato nei termini  di  cui  sopra  si  ponga  innanzitutto  in
contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sotto forma di  violazione
del canone di irragionevolezza e disparita' di trattamento. L'art. 9,
comma   1,    della    legge    n.    117/1988,    come    risultante
dall'interpretazione che si impone a seguito della  soppressione  del
c.d. «filtro di  ammissibilita'»  dell'azione  risarcitoria  e  della
modificazione  del  comma  1  dell'art.  9  stesso,  infatti,  appare
irragionevole  laddove  impone,  sempre  e  comunque,  al   Tribunale
investito della cognizione dell'azione di responsabilita' civile  dei
Magistrati, di trasmettere immediatamente, per il  solo  fatto  della
proposizione della domanda attorea, gli atti al Procuratore  generale
presso  la  Corte  di  cassazione,  senza  alcun   possibile   vaglio
preventivo circa l'ammissibilita'  dell'azione  di  risarcimento  del
danno e, di conseguenza, dell'esercizio dell'azione  disciplinare  da
parte del Procuratore generale presso la Corte di cassazione.  Questo
Giudice non ignora che con la sentenza  n.  164  del  3  aprile  2017
(depositata il 12 luglio 2017) il Giudice delle Leggi ha respinto  le
questioni di legittimita' costituzionale  sollevate  in  relazione  a
possibili profili di incostituzionalita' della legge n. 117/1988 come
modificata dalla legge n.  18/2015,  ed  in  particolare  laddove  ha
soppresso il c.d. «filtro di ammissibilita'» precedentemente previsto
dall'art. 5 (poi abrogato), sulla base del ragionamento per  cui,  in
buona sostanza, al fine di realizzare l'equo  contemperamento  tra  i
due interessi contrapposti consistenti da un  lato  nel  diritto  del
soggetto ingiustamente danneggiato da un provvedimento giudiziario ad
ottenere il risarcimento del danno, e dall'altro  nella  salvaguardia
delle funzioni giudiziarie da  possibili  condizionamenti,  a  tutela
dell'indipendenza e dell'imparzialita'  della  Magistratura  «Non  e'
costituzionalmente  necessario,  infatti,  che,  per   bilanciare   i
contrapposti  interessi  di  cui  si  e'  detto,  sia  prevista   una
delibazione preliminare dell'ammissibilita' della domanda  contro  lo
Stato, quale strumento indefettibile di protezione  dell'autonomia  e
dell'indipendenza  della  magistratura.  Tale  esigenza  puo'  essere
infatti soddisfatta dal legislatore per altra  via:  cio'  e'  quanto
accaduto con la legge n. 18  del  2015,  per  un  verso  mediante  il
mantenimento del divieto dell'azione diretta contro il  magistrato  e
con la netta separazione dei due  ambiti  di  responsabilita',  dello
Stato e del giudice; per un altro, con la previsione  di  presupposti
autonomi e  piu'  restrittivi  per  la  responsabilita'  del  singolo
magistrato, attivabile, in via di rivalsa, solo  se  e  dopo  che  lo
Stato sia rimasto soccombente nel giudizio di  danno;  per  un  altro
ancora, tramite il mantenimento  di  un  limite  della  misura  della
rivalsa». Tuttavia, il ragionamento  della  Corte  costituzionale  in
merito all'abolizione del c.d.  «filtro  di  ammissibilita'»  di  cui
all'art. 5 della legge n. 117/1988 abrogato per effetto  della  legge
n. 18/2015 in relazione all'esercizio dell'azione di  responsabilita'
civile e, corrispondentemente, del venir meno della  rilevanza  della
favorevole  delibazione  dell'ammissibilita'  della  domanda  attorea
quale condizione cui la previgente formulazione dell'art. 9, comma 1,
della legge  n.  117/1988  subordinava  l'obbligo  del  Tribunale  di
trasmettere gli atti del procedimento al Procuratore generale  presso
la Corte di cassazione affinche' esercitasse  l'azione  disciplinare,
obbligatoria, nei  confronti  dei  Magistrati  ordinari,  non  appare
estensibile anche  all'obbligatorieta'  dell'azione  disciplinare  ai
sensi dell'art. 9, comma 1, della legge n.  117/1988,  rispetto  alla
quale e'  funzionale  la  trasmissione,  immediata,  degli  atti  del
procedimento risarcitorio ad opera del Giudice «a quo». Vale  a  dire
che se per la Corte costituzionale l'abolizione del c.d.  «filtro  di
ammissibilita'» in  passato  previsto  dall'art.  5  della  legge  n.
117/1988 al  fine  di  evitare  l'intrapresa  di  azioni  giudiziarie
infondate nei confronti dei Magistrati e  di  non  comprometterne  la
serenita'  nell'espletamento  della  loro  funzione   si   giustifica
nell'ottica di assicurare l'effettivita' della tutela giurisdizionale
per il  cittadino  che  assuma  di  essere  leso  dall'attivita'  del
Magistrato, anche al  fine  di  garantire  la  primazia  del  diritto
dell'Unione  europea,  non  e',  tuttavia,  possibile  rinvenire  una
medesima  «ratio»  anche  per  l'esercizio  obbligatorio  dell'azione
disciplinare  nei  confronti  dei  Magistrati,  rispetto  alla  quale
funzionale    la    trasmissione,    obbligatoria,    immediata    ed
incondizionata, degli atti del procedimento da parte del Tribunale al
Procuratore  generale  presso  la  Corte  di   cassazione.   Rispetto
all'azione  disciplinare  obbligatoria  esercitata  dal   Procuratore
generale presso la Corte di cassazione quale  conseguenza,  sempre  e
comunque, della mera proposizione  dell'azione  di  risarcimento  dei
danni ai sensi della legge n. 117/1988 - per effetto  dell'intervento
novellistico della legge n. 18/2015 - infatti,  non  viene  in  gioco
alcuna necessita', di  rilevanza  costituzionale,  di  assicurare  il
diritto di difesa e l'effettivita' della  tutela  giurisdizionale  in
capo  al  cittadino   che   si   assuma   danneggiato   per   effetto
dell'attivita'  del  Magistrato,   posto   che   la   responsabilita'
disciplinare riguarda il rapporto di impiego sussistente tra lo Stato
ed il Magistrato  e  la  violazione  degli  obblighi  funzionali  dei
Magistrato quale dipendente-lavoratore, rimanendo ad essa  del  tutto
estranea  ed  indifferente  la  posizione  dei  cittadino  che  abbia
proposto l'azione risarcitoria; quest'ultimo, infatti,  non  persegue
alcun  vantaggio  ne'  dall'esercizio  dell'azione  disciplinare  nei
confronti del Magistrato per i fatti per i quali ha proposto  domanda
di risarcimento dei danni, ne' tantomeno dall'eventuale  comminatoria
di una sanzione disciplinare. Appare dunque irragionevole  l'art.  9,
comma 1, della legge n. 117/1988 secondo l'interpretazione  derivante
a seguito delle modifiche apportate dall'art. 3, comma 2 e  6,  comma
1, della legge n. 18/2015 laddove impone la  trasmissione  immediata,
sempre e comunque, degli atti al Procuratore generale presso la Corte
di  cassazione  da  parte  del  Tribunale  investito  dell'azione  di
risarcimento danni proposta da chi si assume danneggiato,  in  quanto
tale   meccanismo   non   appare   sorretto   da    alcuna    ragione
giustificatrice, di carattere razionale o giuridico. 
    L'irragionevolezza della disposizione in esame, oltre che per una
carenza di «ratio» della scelta legislativa, appare sussistere  anche
per altre quattro ragioni. 
    In primo luogo l'intervento novellatore della legge  n.  18/2015,
laddove  fa  sorgere  l'obbligo  per  il  Tribunale  di   trasmettere
immediatamente gli atti  del  procedimento  al  Procuratore  generale
presso la Corte di cassazione  per  i  fatti  che  hanno  dato  luogo
all'azione risarcitoria  -  e,  dunque,  l'obbligo  per  il  P.G.  di
esercitare  l'azione  disciplinare  -  appare  irragionevole  laddove
modifica   sensibilmente   la   disciplina   della    responsabilita'
disciplinare dei Magistrati, ancorche' con essa il legislatore avesse
di mira il solo obiettivo di disciplinare, sia pure in  termini  piu'
rigorosi, i rapporti risarcitori intercorrenti  tra  lo  Stato  ed  i
cittadini. La legge n. 18/2015, infatti, e' diretta, in  particolare,
a dare seguito alle pronunce  «Traghetti  del  Mediterraneo»  del  13
giugno 2006 e del 24 novembre 2011 con  cui  la  Corte  di  Giustizia
dell'Unione europea (CGUE)  ha  condannato  l'Italia  per  violazione
degli obblighi di adeguamento dell'ordinamento interno  al  principio
generale di responsabilita' degli Stati membri  dell'Unione  europea,
in caso di violazione del diritto dell'Unione da  parte  di  uno  dei
propri organi giurisdizionali  di  ultimo  grado.  Secondo  la  CGUE,
infatti, due profili della legge n. 117/1988 si ponevano in  frizione
con il diritto dell'Unione Europea, da  un  lato  l'esclusione  della
possibilita' di un  danno  risarcibile  causato  da  un  Giudice  per
interpretazioni di norme di diritto o  per  valutazioni  di  fatti  e
prove, dall'altro che in casi diversi dall'interpretazione  di  norme
di diritto o dalla valutazione di fatti e di  prove,  possano  essere
imposti, per la concretizzazione della responsabilita'  dei  giudici,
«requisiti piu' rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di  una
manifesta violazione  del  diritto  vigente».  Il  risultato  cui  la
modifica dell'art. 9, comma 1, della legge n.  117/1988  operata  con
legge n. 18/2015 conduce e' dunque irragionevole laddove, esorbitando
le finalita' della legge di riforma della responsabilita' civile  dei
Magistrati,  finisce   per   mutare   il   quadro   normativo   della
responsabilita' disciplinare degli stessi. 
    Il secondo profilo di irragionevolezza consiste  nel  fatto  che,
cosi' come interpretato, l'art. 9, comma 1, della legge  n.  117/1988
individua   una   sorta   di    pregiudizialita'    dell'azione    di
responsabilita' civile rispetto a quella «disciplinare», ponendosi la
prima quale antecedente logico-giuridico della  seconda,  e  cio'  in
aperto contrasto con il dato normativa dell'art. 9,  comma  2,  della
legge  n.  117/1988  che  prevedendo  che  «Gli  atti  del   giudizio
disciplinare  possono  essere  acquisiti,  su  istanza  di  parte   o
d'ufficio, nel giudizio di rivalsa», consente una  qualche  incidenza
del giudizio disciplinare in quello di responsabilita' civile  -  sia
pure in sede di rivalsa - e non il contrario (cioe'  degli  atti  del
procedimento civile in sede disciplinare), di talche' il  legislatore
del  2015  avrebbe  realizzato  un'inversione  logica   tra   i   due
procedimenti. 
    In terzo luogo la norma «de qua»  appare  irragionevole  laddove,
prevedendo un obbligo generalizzato di  trasmissione  degli  atti  da
parte del Tribunale  al  Procuratore  generale  presso  la  Corte  di
cassazione  per  il  solo  fatto   della   proposizione   dell'azione
risarcitoria,  determina  un  vistoso  contrasto  con  il   principio
generale di  autonomia  tra  responsabilita'  civile  e  disciplinare
sancito chiaramente dall'art. 20 del decreto legislativo n.  109/2006
e dall'art. 6, comma 2,  della  legge  n.  117/1988  secondo  cui  la
«decisione pronunciata nel giudizio promosso contro lo  Stato...  non
fa stato nel procedimento disciplinare». 
    In quarto luogo, poi, l'art. 9, comma 1, della legge n.  117/1988
come  sopra  interpretato  si  pone  altresi'  in  contrasto  con  il
principio di  tipicita'  degli  illeciti  disciplinari  «funzionali»,
cioe' commessi dai Magistrati nell'esercizio delle  funzioni,  al  di
fuori dell'esercizio delle funzioni e conseguenti  a  reato,  che  ai
sensi degli articoli 2, 3 e 4 del  decreto  legislativo  n.  109/2006
costituiscono un «numerus clausus»,  laddove  la  trasmissione  degli
atti del giudizio di responsabilita' civile al  Procuratore  generale
presso  la  Corte  di   cassazione   per   l'esercizio   obbligatorio
dell'azione disciplinare per il  semplice  fatto  della  proposizione
dell'azione risarcitoria finisce, in  aperta  controtendenza  con  la
scelta sottesa al decreto legislativo  n.  109/2006  di  tipizzazione
degli  illeciti  disciplinari,  per  dare   vita   ad   un   illecito
disciplinare  processuale  a  carattere  «atipico»,   dalla   portata
potenzialmente illimitata derivante  dalla  mera  proposizione  della
domanda giudiziale di risarcimento danni, che finisce per svuotare di
significato le norme sugli illeciti disciplinari tipici. 
    Inoltre la disposizione di cui all'art. 9, comma 1,  della  legge
n. 117/1988 appare violare l'art. 3 della Costituzione anche sotto il
versante della disparita' di trattamento. 
    Ai sensi dell'art.  14,  comma  1,  del  decreto  legislativo  n.
109/2006, infatti, «L'azione disciplinare e' promossa entro  un  anno
dalla notizia del fatto, della quale il Procuratore  generale  presso
la Corte di cassazione ha conoscenza a seguito  dell'espletamento  di
sommarie indagini preliminari  o  di  denuncia  circostanziata  o  di
segnalazione  del  Ministro   della   giustizia.   La   denuncia   e'
circostanziata quando contiene tutti gli elementi costitutivi di  una
fattispecie disciplinare. In difetto di tali  elementi,  la  denuncia
non costituisce notizia di rilievo disciplinare». Orbene, laddove  si
dovesse fare applicazione  dell'art.  9,  comma  1,  della  legge  n.
117/1988 che impone al Tribunale investito  dell'azione  risarcitoria
di trasmettere automaticamente,  sempre  e  comunque,  gli  atti  del
procedimento al Procuratore generale presso la Corte  di  cassazione,
sottoponendo a  sua  volta  quest'ultimo  all'obbligo  di  esercitare
l'azione disciplinare per i fatti che hanno dato causa all'azione  di
risarcimento,  si  finirebbe  per  imporre  l'esercizio   dell'azione
disciplinare ancorche' non sussistano gli estremi  di  una  «denuncia
circostanziata» in base all'art. 14, comma 1, del decreto legislativo
n. 109/2006, per il solo  fatto  che  e'  stata  proposta  azione  di
risarcimento  dei   danni   per   responsabilita'   dei   Magistrati.
Possibilita', questa, resa ancora piu' concreta  dall'abolizione  del
c.d.  «filtro  di  ammissibilita'»  dell'azione   risarcitoria,   che
implicando una valutazione «ex ante» e  prognostica  sulla  possibile
fondatezza della domanda attorea, svolgeva  altresi'  una  importante
funzione di «filtro» di possibili notizie di  illeciti  disciplinari,
essendo prima della legge n. 18/2015 la trasmissione  degli  atti  al
Procuratore  generale  subordinata  proprio  all'esito  positivo  del
giudizio di ammissibilita'; 
    Ritenuto che l'art. 9, comma 1, della legge n.  117/1988  secondo
l'unica interpretazione che pare possibile fornire a  tale  norma  si
ponga altresi' in contrasto con gli articoli 101, comma 2, 104, comma
1 e 108 della Costituzione. 
    Infatti, l'obbligo di trasmissione degli  atti  del  procedimento
relativo all'azione  di  responsabilita'  civile  dei  Magistrati  al
Procuratore generale, con  conseguente  insorgenza  dell'obbligo  per
quest'ultimo di esercitare l'azione  disciplinare  per  i  fatti  che
hanno dato vita alla domanda risarcitoria costituisce,  a  parere  di
questo Giudice,  uno  strumento  in  grado  di  incidere  in  termini
negativi  sull'attivita'  giurisdizionale  e,  in   particolare,   di
pregiudicare la soggezione del Giudice soltanto alla legge (art. 101,
comma  2,  cost.)  e  di  lederne  le   prerogative   di   autonomia,
indipendenza, terzieta' ed imparzialita' che la Carta  costituzionale
riconosce alla Magistratura non gia' quali  privilegi,  bensi'  quali
guarentigie per il  sereno  e  corretto  svolgimento  della  funzione
giurisdizionale. Proprio  la  Corte  costituzionale  con  la  recente
sentenza n. 164/2017 ha evidenziato come in una precedente  occasione
- in particolare con la pronuncia  n.  18  del  1989  -  essa  avesse
ritenuto che l'esistenza del c.d. «filtro di ammissibilita'» rispetto
all'azione  di  risarcimento  dei  danni   proposta   dal   cittadino
costituisse una «garanzia  adeguata»  per  evitare  di  compromettere
«l'imparzialita' della magistratura, con l'attribuire alle parti  uno
strumento di pressione idoneo ad influenzarne le decisioni».  Orbene,
in ordine  all'obbligatorieta'  della  trasmissione  degli  atti  del
procedimento di responsabilita' civile da parte del  Tribunale  quale
effetto naturale ed  automatico  della  proposizione  dell'azione  di
risarcimento dei danni ai sensi  della  legge  n.  117/1988  ed  alla
conseguente obbligatorieta' dell'esercizio  dell'azione  disciplinare
da parte del Procuratore generale presso la Corte di  cassazione  per
tali fatti, appare a questo Giudice che tale meccanismo sia in  grado
di integrare uno strumento di pressione di  cui  i  soggetti  che  si
assumono danneggiati possono disporre in modo disinvolto,  idoneo  ad
influenzare  le  decisioni  del  Magistrato,  cosi'  compromettendone
sensibilmente  la  serenita'  e,  di  conseguenza,  la  posizione  di
autonomia,  indipendenza,   terzieta'   ed   imparzialita'   che   la
Costituzione riconosce  all'ordinamento  giudiziario.  Attraverso  le
modifiche della legge n. 117/1988 - consistenti  in  buona  sostanza,
per cio' che rileva in questa sede, negli  effetti  che  l'abolizione
del  c.d.  «filtro  di  ammissibilita'»   produce   sull'obbligo   di
trasmissione ad opera del Giudice «a quo» degli atti del procedimento
risarcitorio al Procuratore generale presso la  Corte  di  cassazione
affinche' eserciti l'azione disciplinare obbligatoria  nei  confronti
del Magistrato i cui atti, comportamenti e  provvedimenti  si  assume
abbiano danneggiato la parte attrice e di cui  questa  si  duole  nel
giudizio  di  risarcimento  dei  danni  -  infatti,  si  perviene  al
risultato per  cui  la  parte  del  giudizio,  che  ben  puo'  essere
eventualmente ancora pendente  (posto  che  l'eliminazione  del  c.d.
«filtro  di  ammissibilita'»  impone  al  Tribunale  investito  della
controversia risarcitoria di istruirla  e  trattarla,  ancorche'  non
siano stati esauriti  i  gradi  di  giudizio  ed  esperiti  i  rimedi
ordinari ai sensi dell'art. 4, comma 2, della legge n. 117/1988,  non
potendone quindi dichiararne piu'  immediatamente  l'inammissibilita'
nello scrutino endoprocessuale di ammissibilita')  proponendo  azione
di risarcimento del danno nei confronti dello Stato  per  l'attivita'
del Magistrato, di  fatto,  finisce  per  coinvolgerlo  non  solo  in
un'azione   di   responsabilita'   civile   (connessa   all'esercizio
discrezionale del diritto di difesa ad opera della parte),  ma  anche
ad un  procedimento  di  tipo  disciplinare  -  a  prescindere  dalla
fondatezza  o  infondatezza  dell'azione  risarcitoria  a   carattere
obbligatorio,  cosi'   esponendolo   al   rischio   della   possibile
comminatoria di sanzioni disciplinari di carattere afflittivo, con un
meccanismo che non appare piu' in grado di garantire il Giudice dalla
proposizione di «azioni infondate che possano turbarne  la  serenita'
impedendo al tempo stesso di creare con  malizia  i  presupposti  per
l'astensione  e  la  ricusazione»  (Corte  cost.,  n.  18/1989  e  n.
468/1990). L'azione di responsabilita' civile,  infatti,  per  quanto
possa  essere  infondata,  porta  per  cio'  solo,  stante   la   sua
proposizione e  pendenza,  l'obbligo  di  trasmettere  gli  atti  del
relativo giudizio risarcitorio  al  Procuratore  generale  presso  la
Corte di cassazione e l'obbligo, per quest'ultimo, di  esercitare  la
doverosa azione disciplinare. Cio', del resto, anche considerato  che
la Corte costituzionale con la sentenza n. 164/2017 ha stabilito  che
il  nuovo  sistema  della  responsabilita'  civile   dei   Magistrati
derivante dalla legge n. 18/2015 a  seguito  della  soppressione  del
c.d. «filtro di ammissibilita'» non viola i  principi  di  autonomia,
indipendenza, imparzialita'  e  terzieta'  del  Giudice,  atteso  che
nell'azione di risarcimento dei danni proposta ai sensi  della  legge
n. 117/1988 la serenita' del Giudice coinvolto e,  dunque,  i  valori
fondamentali di autonomia, indipendenza,  imparzialita'  e  terzieta'
dello stesso  e'  assicurata  dalla  discrasia  tra  i  soggetti  del
giudizio (parte che si assume danneggiata e Stato  convenuto)  e  dal
mantenimento di un limite della misura di rivalsa. Ebbene, in caso di
esercizio  obbligatorio  dell'azione  disciplinare   da   parte   del
Procuratore generale presso la Corte di  cassazione  (obbligatorio  a
seguito della trasmissione degli atti del procedimento da  parte  del
Tribunale, stante il disposto dell'art. 9, comma 1,  della  legge  n.
117/1988),  i  presupposti  di  cui  sopra  in  presenza  dei   quali
l'eliminazione del c.d. «filtro di ammissibilita'» garantisce  ancora
il Giudice da possibili strumenti  di  pressione  non  appaiono  piu'
sussistere, poiche' l'azione disciplinare e' esercitata nei confronti
del Giudice stesso (e non dello Stato)  e  non  vi  e',  logicamente,
cosi' come accade nell'azione  di  rivalsa,  alcuno  spazio  per  una
limitazione    delle    conseguenze     pregiudizievoli     derivanti
dall'eventuale comminatoria di sanzioni  disciplinari.  Una  siffatta
soluzione, peraltro, appare contrastare con le norme di cui  all'art.
101, comma 2 e 104, comma 1, della  Costituzione,  anche  considerato
che,  a  ben  vedere,  il  cittadino  che,  proponendo  l'azione   di
responsabilita' civile nei confronti dello Stato per il  risarcimento
dei danni derivanti dall'attivita' dei Magistrati determina, per cio'
solo, anche  l'automatismo  dell'esercizio  obbligatorio  dell'azione
disciplinare esercitata dal Procuratore generale presso la  Corte  di
cassazione, non persegue ne' realizza  alcun  interesse  suo  proprio
dall'esercizio  dell'azione  disciplinare  stessa  e,  eventualmente,
dall'inflizione di una sanzione disciplinare (come invece avviene nel
caso di condanna al ristoro dei danni in sede di giudizio civile), di
talche'  appare  evidente  che  il  ricollegarsi  alla   proposizione
dell'azione risarcitoria dell'effetto automatico  della  trasmissione
degli atti del  procedimento  risarcitorio  al  Procuratore  generale
presso la Corte di  cassazione  e,  dunque,  l'esercizio  dell'azione
disciplinare da parte di quest'ultimo, si  risolve  nell'attribuzione
in capo al privato di un singolare ed ingiustificato potere  di  dare
impulso - sempre e comunque -, sia pure  per  tramite  del  Tribunale
davanti al quale e' proposta la domanda  risarcitoria  (il  quale  e'
tenuto a provvedere all'immediata trasmissione  degli  atti  al  P.G.
presso  la  Suprema  Corte)  ad  un  procedimento  disciplinare   nei
confronti del Magistrato i cui atti, comportamenti o provvedimenti si
assumono lesivi della sua posizione giuridica. In tal  modo,  dunque,
l'ordinamento finisce per attribuire ad una  parte  del  giudizio  la
possibilita' di influire indebitamente sul  corso  del  giudizio  e/o
sulla serenita' del giudice e, quindi, sull'esercizio della  funzione
giurisdizionale, ponendo in tal  modo  seriamente  a  repentaglio  le
prerogative di autonomia, indipendenza, imparzialita' e terzieta' che
la   Costituzione   ricollega   allo   svolgimento   della   funzione
giurisdizionale, senza che sia prevista  -  a  differenza  di  quanto
accadeva  sotto  la  vigenza  dell'art.  9,  comma   1,   nella   sua
formulazione anteriore all'entrata in vigore  della  riforma  operata
con la legge n. 18/2015 laddove richiamava il  termine  di  due  mesi
dalla comunicazione di cui all'art. 5, comma 5,  (cioe'  il  positivo
superamento del vaglio di ammissibilita' dell'azione  risarcitori)  -
neanche una preventiva verifica preliminare circa la sua  fondatezza.
In questo modo, dunque,  ha  ingresso  nell'ordinamento  italiano  un
potere generalizzato del cittadino di dare impulso, mediante la  mera
proposizione di un'azione  risarcitoria,  all'esercizio  obbligatorio
dell'azione disciplinare nei confronti dei Magistrati dai  cui  atti,
comportamenti o provvedimenti si assuma leso; 
    Ritenuto che per le ragioni innanzi esposte in questo modo  venga
violato anche il disposto dell'art. 108 della  Costituzione,  laddove
stabilisce che la legge assicura l'indipendenza dei giudici speciali,
poiche' il meccanismo determinato per effetto delle modifiche di  cui
alla legge n. 18/2015 nel senso di imporre,  sempre  e  comunque,  la
trasmissione  degli  atti  del  procedimento  al  soggetto   titolare
dell'azione  disciplinare  e  l'esercizio  obbligatorio   dell'azione
disciplinare riguarda, ai sensi dell'art. 9, comma 1, della legge  n.
117/1988, anche i  Magistrati  diversi  da  quelli  ordinari,  dunque
appartenenti alle Magistrature amministrative, contabili, militari  e
speciali (art. 1, comma 1, legge n. 117/1988), compromettendo in  tal
modo anche la loro indipendenza, terzieta' ed imparzialita'; 
    Ritenuto, alla luce di quanto innanzi esposto, dunque,  rilevante
e non manifestamente infondata con riferimento gli articoli  3,  101,
comma 2, 104, comma 1 e  108  della  Costituzione,  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1 della legge  n.  117
del 13 aprile 1998 cosi' come modificato dall'art. 6, comma 1,  della
legge n. 18 del 27 febbraio 2015, nonche' per  effetto  dell'art.  3,
comma 2, della stessa legge laddove ha abolito  il  c.d.  «filtro  di
ammissibilita'», imponendo  al  Tribunale  investito  dell'azione  di
risarcimento  dei  danni   nei   confronti   dello   Stato   per   la
responsabilita' dei Magistrati di trasmettere immediatamente, per  il
solo fatto della proposizione  della  domanda  giudiziale,  sempre  e
comunque, gli atti del procedimento al Procuratore generale presso la
Corte di cassazione, determinando cosi l'obbligo per quest'ultimo  di
esercitare, nei confronti dei Magistrati i cui atti, comportamenti  e
provvedimenti si assumono forieri di  danno,  l'azione  disciplinare,
per i fatti che hanno dato  luogo  alla  proposizione  della  domanda
risarcitoria; 
    Rilevato che ai sensi dell'art.  23,  comma  2,  della  legge  n.
87/1953,  la  sottoposizione  dell'incidente   di   costituzionalita'
innanzi alla Corte costituzionale determina «ex lege» la  sospensione
del processo in corso;